L’affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio

A cura di: Avv. Romolo Fondi – https://www.studiolegalefondi.it/

L’affidamento e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, rappresenta oggi una delle ipotesi più ricorrenti in materia familiare, ove si assiste in misura sempre più frequente a coppie di genitori che senza transitare per il vincolo del matrimonio si trovano a gestire la crisi di coppia in presenza di figli.  

A seguito dell’entrata in vigore della legge 219/2012, è stata eliminata definitivamente ogni residua differenza tra figli naturali (nati fuori dal matrimonio) e figli legittimi (nati da coppie coniugate) attribuendo ad entrambi gli stessi diritti, aderendo al principio che ogni figlio abbia pari diritti a prescindere da fatto che siano stati concepiti all’interno di un matrimonio oppure nell’ambito di una semplice convivenza.

In siffatte ipotesi, in presenza di crisi apparentemente non insanabili della coppia, il legale investito della questione potrebbe ricorrere all’istituto della mediazione familiare, generalmente gestita da un terapeuta (con competenze nella gestione dei conflitti) e dai legali specializzati nel diritto di famiglia e nelle tematiche di gestione della crisi familiare, allo scopo di tentare di sanare la situazione di crisi della coppia.

L’esperimento della procedura di mediazione familiare non è obbligatorio; qualora però la crisi tra i genitori appaia sin da subito insanabile, è opportuno procedere direttamente in sede giudiziale.

Per la verità, anche quando venga immediatamente avviato un procedimento giudiziale, è sempre possibile trovare una conciliazione attraverso la mediazione familiare: in particolare il Giudice relatore, alla prima udienza di comparizione dei coniugi, tenta di farli addivenire ad un accordo che è sempre raggiungile sino al momento dell’udienza di precisazione delle conclusioni.

Una volta verificata l’insanabilità della crisi con ricorso al Giudice, si transita attraverso quello che la Legge 219/2012 definisce il cd. il «rito partecipativo» per la regolamentazione in giudizio dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle coppie di fatto, conviventi, non sposate.

Si tratta di una particolare procedura ed oggi devoluta alla competenza del  Tribunale Ordinario – Sezione Famiglia – attraverso un procedimento detto appunto “partecipativo” perché consente ai genitori alla partecipazione alla formazione del procedimento che regolamenterà i rapporti con i figli.

Il procedimento prende avvio con il deposito di un ricorso ex art. 316-317 bis cod. civ., ad esito del quale il Presidente del Tribunale non procede all’immediata fissazione di una udienza di comparizione delle parti, ma concede alle stesse due termini, uno per la parte ricorrente per la notifica del ricorso, ed un altro alla parte resistente per il deposito di una memoria difensiva di costituzione, concedendo altresì ad entrambe termine per il deposito delle ultime tre dichiarazioni dei redditi. Lette le difese, il Collegio può:

  • fissare direttamente udienza dinanzi a sé, non ritenendo sussistenti i presupposti per formulare un suggerimento conciliativo;
  • rimettere le parti dinanzi al giudice delegato con il compito di suggerire ai genitori una possibile soluzione conciliativa, riservandosi di intervenire successivamente, se fallito il tentativo di conciliazione;
  • pronunciare provvedimenti provvisori, in presenza di conclusioni parzialmente conformi dei genitori (es. entrambi chiedono l’affido condiviso).

Il procedimento prevede, quindi, una fase conciliativa innanzi ad un giudice delegato, e solo in caso di fallimento di quest’ultima, una fase contenziosa innanzi al Collegio. La fase conciliativa o pre – contenziosa potrebbe, pertanto, concludersi con un accordo dei genitori, che verrà poi recepito dal Collegio, una sorta di omologa, sempre in analogia con quanto avviene nei procedimenti di separazione e divorzio.

Tale accordo ben potrebbe corrispondere alla proposta del giudice designato oppure in una soluzione totalmente o parzialmente diversa, elaborata dai genitori grazie all’assistenza dei difensori nominati, che certamente possono utilizzare il suggerimento del magistrato al fine di convincere le rispettive parti a confrontarsi sui problemi emersi ed a dialogare come padre e madre.

Se la fase conciliativa non porta a nessuna composizione bonaria, gli atti vengono rimessi al Collegio che provvede alla definizione giudiziale del procedimento, se del caso, previa nuova convocazione dei genitori.

Nell’ipotesi in cui viceversa i genitori concordino integralmente e sin da subito sulle condizioni di affidamento e mantenimento, possono presentare al Tribunale ordinario un ricorso congiunto ai sensi dell’art. 316 cod. civ.. 

In tal caso i genitori non dovranno neppure comparire davanti al Giudice e l’esame del Tribunale si limiterà alla verifica dell’adeguatezza degli accordi raggiunti dai genitori nell’interesse della prole minore, alla luce del disposto normativo di cui all’articolo 337-ter, comma secondo, codice civile, accordo che verrà poi recepito dal Collegio.

Quanto all’esito del procedimento, che avrà un iter differenziato a seconda che vi sia un preventivo o intervenuto accordo tra i genitori o meno, lo stesso dovrà necessariamente contenere una serie di elementi imprescindibili, che andranno a regolamentare i rapporti giuridici, personali e patrimoniali tra i genitori e i figli.

In particolare, andranno stabilite e regolamentate le norme relative a:

  1. Definizione di un affidamento congiunto od esclusivo del figlio/i; 
  2. Dove andrà fissata la residenza prevalente del minore;
  3. Come regolamentare i diritti di visita tra minore e genitore non collocatario;
  4. Come calcolare un assegno di mantenimento erogato dal genitore a favore del figlio minore.

Si tratta di una serie di elementi che variano da caso a caso, in relazione ai rapporti esistenti tra i genitori e le condizioni personali e patrimoniali degli stessi, il tutto letto nell’ottica e nell’interesse preminente dei figli.

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